Wine Culture
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Un sorso di Alto Adige
Delle tessere che compongono il prezioso mosaico enologico del Gruppo Santa Margherita, la Cantina Kettmeir costituisce il tassello più a Nord. Siamo a Caldaro, che oggi conta circa 800 ettari vitati, il secondo comune viticolo altoatesino per grandezza dopo il comune di Appiano.
Kettmeir è di proprietà della famiglia Marzotto dal 1986, ma la presenza di Santa Margherita in Trentino Alto Adige risale a svariati decenni prima, intimamente legata alla nascita di una delle etichette simbolo del Gruppo: il mitico Pinot Grigio. A rendere possibile l’ingresso di Santa Margherita nella rete di rapporti con il Trentino Alto Adige sono state alcune figure chiave, che hanno sviluppato i rapporti con i conferitori d’uva della zona, consentendo all’azienda veneta di integrarsi nel tessuto produttivo locale e di sviluppare un business vincente e florido. Tra i principali attori di questo processo figurano Bruno Pojer, proprietario del Maso Reiner a Salorno, e Luis Von Dellemann, l'allora enologo della Cantina di Andriano. Hanno saputo guardare oltre i confini regionali tra Veneto e Trentino Alto Adige, abbracciando la serietà e la passione del progetto vinicolo della famiglia Marzotto. Non è un caso che sia Bruno Pojer sia Luis Von Dellemann, definiscano Santa Margherita il “custode dell’Alto Adige”, riconoscendo al Gruppo il grande merito di aver traghettato questo distretto vinicolo verso la qualità e la fama internazionale.
Bruno e Riccardo Pojer
Il suo soprannome, “re del bianco”, rivela molto sulla sua personalità, oltre che sulla predilezione in fatto di vino. Autorevole senza essere autoritario, Bruno Pojer ha iniziato a collaborare con Santa Margherita alla fine degli anni Cinquanta, proseguendo per oltre mezzo secolo con rigore e professionalità.
Nato 91 anni fa a Salorno, l’ultimo comune in provincia di Bolzano prima del confine con il Trentino, Pojer ama ricordare con orgoglio le sue origini contadine. Oggi è il figlio Riccardo a condurre l’azienda di proprietà, il Maso Reiner, che conferisce le uve integralmente a Kettmeir. «La mia famiglia è dedita all’agricoltura da cinque generazioni», spiega. «Negli anni Cinquanta, però, il Maso non bastava più a garantire un reddito sia a me che ai miei quattro fratelli. Così decisi di lasciare la campagna e diventare un mediatore vinicolo. Mi occupavo delle contrattazioni e dell’acquisto di uva per i miei clienti. Giravo per le vigne, controllavo la produzione e intercettavo la richiesta da parte delle grandi aziende. In pratica facevo da collegamento tra la domanda e l’offerta, tra i conferitori e le cantine che necessitavano di ulteriori quantitativi».
La collaborazione con Santa Margherita parte nel 1957. Pojer incontra l'allora direttore tecnico di produzione, che gli affida il mandato per l’acquisto delle uve. «Cominciai a tenere i rapporti con i produttori dell’Alto Adige per Santa Margherita. Ogni anno, a novembre, il direttore tecnico veniva a controllare la situazione e a fare il giro degli assaggi; a metà dicembre tornava e si procedeva con i contratti».
Fino al 1966 la contrattazione avveniva in uva venduta in cassette, poi le compravendite iniziarono a svolgersi direttamente in vino. «Caricavo in auto la borsa con i campioni e andavo a vendere nei mercati. Ho viaggiato tantissimo, cambiando ben 27 macchine».
Nel 1979-80 in Alto Adige la richiesta superò l’offerta. «La produzione non era più sufficiente e ci si spinse verso sud, lungo la Valle dell'Adige. Le produzioni aumentarono e il Pinot Grigio varcò i confini nazionali, diventando uno status symbol anche per gli americani».
Un’altra tappa fondamentale del percorso professionale di Pojer è il 1986, l’anno dell’acquisizione di Kettmeir da parte di Santa Margherita. «Mi recai da Kettmeir e il titolare Franco Kettmeir mi chiese di seguirlo nel suo ufficio. Mi spiegò che voleva vendere l’azienda, chiedendomi se conoscevo un possibile acquirente. Telefonai subito all’amministratore delegato di Santa Margherita, che all’epoca era il dottor Marcer. Lui ne parlò subito al presidente, il conte Umberto Marzotto, e dopo un paio d’ore mi ricontattò invitandomi a cercare un ingegnere per i calcoli e le stime. In meno di un mese, ottenni anche il benestare del governatore della provincia Durnwalder e l’affare fu concluso». Per Santa Margherita era l’inizio di una nuova avventura.
Bruno Pojer ricorda con gioia anche gli altri vini altoatesini che l’azienda veneta ha avuto il merito di portare in auge: «Dopo il Pinot Grigio, è stata la volta del Müller Thurgau, dello Chardonnay, senza dimenticare il grande lavoro sulla spumantizzazione con il Metodo Classico. Oggi l’Alto Adige è famoso per i suoi bianchi, ma 30 anni fa in pochi ci avrebbero scommesso. La famiglia Marzotto fu tra i primi a lanciarli a livello commerciale».
Chiudiamo la chiacchierata tornando al presente, al sodalizio tra il Gruppo Santa Margherita e la famiglia Pojer, che ancora oggi conferisce a Kettmeir le uve del Maso Reiner. «Il segreto di una così lunga collaborazione? Fiducia e correttezza reciproca. Finché questi due requisiti non verranno a mancare, sono certo che continueremo per molte generazioni».
Luis Von Dellemann
Luis Von Dellemann non ha certo bisogno di presentazioni. È uno dei grandi maestri dell’enologia altoatesina moderna, che ha saputo valorizzare in oltre cinquant’anni di carriera.
«Dico sempre che produrre vini fa parte del mio patrimonio genetico», racconta lo stesso Von Dellemann, oggi ottantenne. «Sono nato tra le vigne. Nel 1885 mio nonno è stato tra i fondatori della prima Cantina sociale dell’Alto Adige, quella di Andriano, dove mio padre ha prestato servizio come enologo e io dopo di lui».
Il primo passo verso la professione di wine maker è l’iscrizione alla prestigiosa scuola enologica di San Michele all’Adige, nel 1951. Dopo gli studi, Luis si trasferisce in Svizzera, per fare un po’ di esperienza. Una volta tornato, a soli 23 anni viene nominato enologo della Cantina di Andriano. Nel 1968 conosce e sposa Wendelgard, figlia primogenita di Alois Lageder senior e sorella di Alois junior, che a metà degli anni Settanta prenderà la guida della Cantina.
Luis Von Dellemann ebbe un ruolo centrale nella produzione del primo Pinot Grigio vinificato in bianco da Santa Margherita. «Ricordo ancora l’incontro con il direttore tecnico alla Cantina di Andriano, per l’assaggio del vino. Erano in tutto cinque o sei botti». A quell’epoca il Pinot Grigio era utilizzato esclusivamente come uva da taglio. Ci volle tutta la lungimiranza di Santa Margherita per vedere oltre. «La vendemmia del 1960 si dimostrò ottima, regalando un vino pieno, di grande stoffa, forse un po’ carico di colore, ma di notevole tipicità. E così la rivoluzione ebbe inizio».
Negli anni Sessanta e Settanta la viticoltura dell’Alto Adige, tuttavia, puntava principalmente alla quantità. «Mio cognato Alois Lageder fu tra i primi a capire che bisognava cambiare direzione, verso la qualità. Negli anni Ottanta, fortunatamente, in molti seguirono l’esempio, con rese più basse e scelte agronomiche più razionali, come ad esempio il passaggio dal sistema di allevamento a pergola a quello a spalliera. I volumi di produzione furono ridotti di due terzi e il pubblico ci premiò, decretando il successo dei nostri prodotti». Luis Von Dellemann, in particolare, per primo ebbe l’intuizione di affinare un vino bianco in barrique anziché in acciaio, aprendo la pista a una nuova tipologia di etichette altoatesine.
Un altro argomento molto caro a Von Dellemann è quello della sostenibilità ambientale. «Oggi in Alto Adige un numero crescente di produttori sta passando dalla viticoltura tradizionale al regime biologico. Personalmente, sono convinto che il futuro del vino sia bio. È il consumatore a chiederlo, e non solo in campo enologico, ma anche per la frutta e la verdura». Un altro cambiamento inevitabile è quello legato al clima: «Con il progressivo aumento delle temperature, le vigne tenderanno a essere piantate sempre più in alto, proprio come le mele».
Gli chiediamo quali sono i requisiti perché un vino dell’Alto Adige sia eccellente. «Prima di tutto deve essere tipico, con un carattere varietale ben riconoscibile. Ogni vino è figlio della sua vigna e del territorio in cui nasce. Il profilo vincente è quello di un prodotto fresco, fruttato, beverino. Il Pinot bianco, a mio avviso, è il vitigno più rappresentativo dell’Alto Adige, con i suoi sentori di mela e la sua notevole freschezza».
L’ultima riflessione riguarda la spumantizzazione, di cui Kettmeir rappresenta una delle punte di diamante in regione. «Sono convinto che la nostra zona possa ancora dare molto in fatto di bollicine: la qualità delle uve ce lo consente. In Sudtirolo la spumantizzazione ha un’antica tradizione, che risale già alla fine dell’Ottocento, ma non è mai decollata in termini di volumi e ancora oggi sono poche le aziende seriamente impegnate. Anche in questo Santa Margherita, con Kettmeir, si rivela un luminoso esempio da seguire. Ma questa non è certo una novità».
Testo – Jessica Bordoni
Foto – Andy Massaccesi, Giò Martorana