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Kettmeir & Metodo Classico
Dal porticato ad archi della cantina lo sguardo di Josef Romen, enologo di Kettmeir, si allunga e si ferma ai piedi della collina. «Vedete quella casa bianca? Lì è dove sono nato», dice l’enologo con un sorriso. Il lavoro l’ha portato a pochi passi dal luogo natale, nello stesso ritaglio di terra. Davanti ci sono le montagne dell’Alto Adige, dietro il lago di Caldaro, tutt’attorno le vigne e i meleti che punteggiano inconfondibilmente la zona. Tradizione e territorio sono due parole che tornano spesso nel corso del nostro incontro. «La cantina, dopotutto, si prepara a compiere cent’anni» continua Romen.
Tutto è cominciato nel 1919, quando il fondatore Giuseppe Kettmeir, studente di agronomia a Vienna e commerciante di vini a Zurigo, decise di aprire nella terra d’origine la sua società. Sessant’anni dopo, Kettmeir sarebbe diventata l’azienda vinicola più grande del Sudtirolo, la prima dotata di un impianto di imbottigliamento automatico.
Il 2017 è una data importante. Quest’anno cade il venticinquesimo compleanno del Metodo Classico Brut, diventato negli anni uno dei prodotti più celebrati della cantina. Anche le bollicine hanno una loro storia personale. Era il 1964 quando Franco, nipote di Giuseppe, mise in produzione il suo primo spumante. In quel caso il Metodo era quello dello Charmat lungo, capace di esaltare le caratteristiche fruttate e floreali del territorio. Questo fu un importante primo passo verso il presente (e il futuro) di Kettmeir. Alla fine degli anni ’80 la produzione di spumante arrivò a toccare un consistente numero di bottiglie, a cui seguì un drastico calo nelle vendite quando, nei primi anni ’90, le case spumantistiche in Champagne erano così intasate di vino invenduto da causare un crollo dei prezzi. E la concorrenza, a quel punto, divenne quasi impossibile da sostenere.
Da allora Kettmeir ha ripensato il suo rapporto con gli spumanti, dando vita anche a quel Metodo Classico che oggi apprezziamo. «Si è aggiunta così una bollicina ottenuta dalla rifermentazione in bottiglia», spiega Josef Romen. «La prima Cuvée era così ripartita: 50% di Pinot Bianco, 30% di Chardonnay e 20% di Pinot Nero. Il vino base da uve della vendemmia del 1992 è rimasto sui lieviti per 24 mesi, la prima uscita sul mercato è avvenuta nel 1995».
Per l’Alto Adige quello fu il ritorno di una tendenza la cui origine risale all’inizio del XX secolo. Documenti locali testimoniano che la prima ditta di spumanti, con sede ad Appiano, lavorava già tra il 1902 e il 1904. Ne uscivano bottiglie di spumante da uve Riesling destinate all’aristocrazia mitteleuropea, che veniva qui in villeggiatura. All’epoca lo avevano ribattezzato “oro dell’Oltradige”, ma a interrompere la sua produzione fu l’arrivo improvviso della Prima guerra mondiale. Se negli anni del post-boom si avvertì una vigorosa ripresa, oggi senza dubbio la consapevolezza del prodotto ha raggiunto la sua piena evoluzione. «Dall’inizio del secolo scorso l’Alto Adige ha subìto una profonda trasformazione nel settore vinicolo», afferma l’enologo. «Se prima questa terra era la zona più meridionale dell’impero austroungarico, con una predilezione per la produzione di vino rosso, con l’annessione all’Italia è diventata il territorio più a Nord, destinato nell’immaginario al vino bianco. Anche per questo negli anni si sono invertite le proporzioni: fino al 1985 il rapporto tra vino bianco e vino rosso era 15% contro 85%, oggi al contrario si produce il 65% di bianco e il 35% di rosso». Gli spumanti sono sempre rimasti un po’ a guardare. «Le bollicine nascono per entusiasmo personale, per una spinta totalmente idealistica». È ciò che è successo anche qui.
Con gli anni l’oro dell’Oltradige è cambiato profondamente: «Al centro per noi ci deve essere l’Alto Adige», nota Romen. «Il nostro Brut e il nostro Rosé sono bollicine fortemente territoriali, è questa la filosofia che ci guida da sempre. Oggi l’Alto Adige è percepito come marchio di qualità: dentro la bottiglia c’è il vino ma anche le montagne, i prodotti agroalimentari, l’ospitalità tipica di questa terra. Si parla tanto di territorio, e allora noi vogliamo che lo si senta da quando si mette il naso nel bicchiere. Chi beve il Metodo Classico Kettmeir deve pensare: ecco l’Alto Adige. Deve riconoscere immediatamente quelle che per me sono le sue tre caratteristiche principali: profumo, freschezza ed eleganza». È il Pinot Bianco a dare il carattere territoriale al Brut. «È di sicuro uno dei migliori interpreti di questo territorio, grazie alla sua mineralità così distintiva e a quella nota amarognola del finale capace di rivelare un timbro preciso. Così come il Rosé acquista identità grazie alla presenza del Pinot Nero».
Il nuovo nato del 2017, a 25 anni esatti dalla prima annata di Metodo Classico, è il Metodo Classico Riserva. «Qui l’aspirazione è sicuramente più alta», confida Josef. «Il profilo di questo prodotto deve essere più internazionale, per poter reggere il confronto con bollicine conosciute in tutto il mondo. Perciò cambiano anche gli uvaggi: 60% di Chardonnay e 40% di Pinot Nero, che garantisce una maggiore sostanza. Si continuerà a sentire il profumo dell’Alto Adige, ma la sosta di cinque anni sui lieviti darà una nota speciale, più piena. Le uve di questa zona hanno le caratteristiche per assicurare longevità a un prodotto come questo. Sarà uno spumante meno immediato e diretto, più austero e complesso».
La possibilità di vinificare bollicine competitive a livello internazionale è oggi una spinta in più: «Dal 2007 la crescita è stata fortissima, il Metodo Classico è sempre più venduto e richiesto. Anche la nostra consapevolezza è mutata. Col tempo abbiamo individuato i vigneti adatti per il Brut e quelli destinati invece ai vini fermi. Ogni vigneto da dedicare allo spumante è stabilito fin dall’inizio, e questo ci consente di lavorare le uve in modo diverso: per le bollicine è ancora adatta la pergola che limita i rischi dell’eccessiva maturazione, risultando così ideale per grappoli dall’acidità vibrante. Anche i vigneti dedicati al Metodo Classico Riserva sono stati selezionati con cura: quattro di Chardonnay e due di Pinot Nero, a maturazione più spinta. È in campagna che nasce il carattere del Metodo Classico Riserva».
Gli investimenti nella cantina fanno il resto. «Nel 1992 era attrezzata con un sistema di condizionamento adeguato per l’epoca», ricorda Josef Romen. «Avevamo un locale di stoccaggio che col tempo è diventato limitante. Perciò nel 2016 Kettmeir ha attuato un grande investimento in termini di spazi: è stata inaugurata un’area più vasta dedicata esclusivamente alle bollicine, condizionata in modo ottimale secondo un sistema geotermico che distribuisce l’aria fredda in modo più delicato e uniforme. Oggi c’è lo spazio per crescere ulteriormente: insieme a un attento lavoro sui vigneti, capace di determinare la qualità del prodotto, questo è un ottimo incentivo per proseguire sulla strada del raggiungimento di un livello ancora più elevato».
Il periodo è propizio: i Brut altoatesini sono sempre più diffusi e amati. «Il pubblico col tempo ha sviluppato il proprio gusto. Le nostre non sono solo bollicine da aperitivo. Il Metodo Classico Rosé, con il volume più morbido dato dal Pinot Nero, si abbina facilmente a tutto il pasto. Il Brut è invece più indicato per i primi piatti, vive di profumi e freschezza».
E il futuro? «Noi non ci fermiamo», è la promessa dell’enologo di Kettmeir. «Il sistema dello Champagne, grazie a centinaia di anni di esperienza e di marketing, resta imbattibile. È il nostro territorio a fare la differenza, la conformazione particolare delle terre ci aiuta a produrre bollicine che sono eccellenza». Ma la qualità del risultato è frutto soprattutto delle persone che lavorano lungo il processo: «La struttura umana ci permette di affinare il prodotto. In cantina abbiamo un gruppo di persone, in primo luogo Francesca, che cura con la massima attenzione ogni minimo dettaglio. Proprio per questo sono convinto che nei prossimi mesi la cantina Kettmeir darà ancora grandi sorprese».
Intervista a Josef Romen
Testo Mattia Carzaniga
Foto Francesco Pizzo