La geografia delle emozioni

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prefazione

Villanova di Fossalta di Portogruaro, sede di Santa Margherita
Gruppo Vinicolo, anni ’30. Foto Giacomelli, Venezia.

Collezione privata Renata Canciani Villanova

Faccio un lavoro bellissimo. Sono una curatrice indipendente d’arte contemporanea che vuol dire organizzare mostre di artisti, per lo più miei coetanei, in posti sempre diversi, in giro per l’Italia e altrove.
Fare il curatore è innanzitutto un lavoro di relazione: prima di tutto con gli artisti, di cui bisogna, letteralmente, prendersi cura. Bisogna ascoltarli per comprendere la loro visione alternativa del mondo. L’arte non ha finalità utilitaristiche, non serve a nulla di concreto. L’arte è un territorio di estrema libertà del pensiero che emancipa sia chi lo crea sia chi lo frequenta. Ma oltre questo luogo immaginifico e magnifico, che mi appartiene e a cui appartengo, ci sono tanti territori con paesaggi, luci, odori e sapori diversi che la mia professione/passione mi consente di esplorare ed assaggiare.
Viaggiare è parte integrante di questo lavoro; esplorare i luoghi eterogenei che stanno al di fuori della neutralità estetica di musei e gallerie internazionali, conoscerli e farli entrare nella mia esperienza esistenziale, attraverso quella
speciale convivialità che si dà intorno ad una tavola apparecchiata, è la mia prerogativa. Di fatto, il modo più efficace e piacevole che conosco per farmi un’idea di un luogo che sto visitando è quello di assaggiarne vini e pietanze e
farmi raccontare storie legate alla tradizione enogastronomica locale. Seduta a tavola, con un calice in mano, di solito raggiungo due scopi: assaporo l’identità verace del luogo e, coerentemente con la natura relazionale del mio lavoro, stringo legami umani di altissima qualità. 
I miei viaggi – tappe del grande viaggio di costruzione di me stessa – sono sempre stati dentro e fuori due mondi paralleli ugualmente fondanti: quello dell’arte e quello del reale. Il mondo dell’arte spesso è un non-luogo privilegiato
dove si corre seriamente il rischio di essere dappertutto ma da nessuna parte. Ricordo di aver visto un celebre curatore saltare tutte le portate stellate e i vini stellari ad una cena di gala per farsi servire solo un paio di caffè.
Costui aveva il vezzo di dire che del mondo conosceva solo i musei, gli hotel e gli aeroporti – non-luoghi, appunto. Dal canto mio, ricordo con piacere immenso e vividissimo, come se ci fossi stata solo ieri, gli odori e i sapori, anche le facce e le parole (la vita, insomma), della taverna di Salonicco dove il vino “verde” scorreva a fiumi da caraffe di vetro dentro tazze di alluminio; del bistrot stellato di Stoccolma dove ho bevuto uno dei migliori Amaroni della mia vita, che si sposava meravigliosamente con le specialità a km 0 dello chef; dell’enoteca di Siena dove mi redarguirono aspramente per aver chiesto dell’aceto per l’insalata, nemico giurato delle preziose bottiglie di rosso che  vevamo sul tavolo; o, ancora, del bacaro di Venezia dove il prosecco è una faccenda seria… Intorno a quei tavoli disparati, e in compagnia di persone differenti, si sono approfondite teorie e amicizie, si è litigato su opinioni e su gusti, si è brindato a mostre di successo e talenti in espansione.
Non potrei mai privarmi di quei momenti conviviali e di conoscenza che solo l’esperienza enogastronomica può offrire e che negli anni hanno contribuito a tracciare una personale geografia, dove tutti i luoghi che ho visitato per lavoro mi apparterranno per sempre, nel ricordo dell’esperienza, col loro gusto e il loro sapore.

di 
CAROLINE CORBETTA
Curatrice d’Arte Contemporanea